Zorba
porta raramente un orologio, al massimo ne tira fuori uno che se lo tiene nel
taschino del panciotto, ma dato che non mette quasi mai il panciotto, direi che
non è uno degli strumenti che più ama. E ovviamente non potrebbe essere che
così, dato che per lui il tempo non esiste, il tempo è una gabbia, una
costrizione. Figurarsi se si fa incatenare da un tic-tac legato al polso. Ne avrebbe
da dire sulle similitudini con cappi e guinzagli.
Era
fermo sulla banchina di Salonicco ad aspettare non sapeva bene che cosa. Aveva
le tasche vuote ma un orologio da gran signore. Passa uno zingaro e gli chiede
cosa aveva da ridere.
Zorba,
senza alzare lo sguardo, gli dice che non lo sa.
“Allora
ti sei fumato le cervella la scorsa notte” fa lo Zingaro.
“Può
darsi, sicuro è che ho perso tutto per liberare un uomo”.
“Liberare?”
“Sì,
con le carte. Ho dovuto giocare a ramino tutta la notte per vincerlo alle carte
il mio avversario. Un tipo di Stoccolma. Un armadio biondo, con i capelli tutti
impomatati che parevano la peluria di un pulcino appena sgusciato. Non voleva
saperne, tutta la notte a lottare, gli ho tolto tutti i quattrini, e ne aveva
sai amico, una bisaccia piena, ma se ne liberava tranquillo e sereno. Allora ho
capito. Appena ha cominciato a venire chiaro dalla finestra quello principia a
guardare l’orologio. Aveva fretta, sembrava assatanato. Come? Mi dico, prima
facevi tanto il colosso mentre ti spillavo tutti quei denari, ed ora ti
rammollisci per il sole che sta per spuntare? Doveva andare via, ripeteva
continuamente che aveva un appuntamento. Ho fretta, ho fretta, guardando l’orologio,
gli tremava il labbro mentre si tormentava sulla sedia. Allora sai cosa gli
dico Zingaro?”
Lo
Zingaro, che nel frattempo si era seduto accanto a lui, rollandosi una
sigaretta lunga e sottile come un pennino da scrivano, sfumacchiava contento
ascoltando Zorba.
“Cosa
gli dici greco?”
“Gli
dico, ragazzo, se devi andare via fai pure, ma non è da uomini levarsi di torno
così nel bel mezzo di una partita alle carte. Non ti dico che sei un vigliacco,
non ti conosco, ma se un giorno mi parleranno di te e ti chiameranno così,
vigliacco, caro ragazzo, stai sicuro che non ti difendo. Quello all’inizio si
alza nervoso, io penso che se questo mi tira un pugno, la buonanima di mia
mamma mi chiederà la carta d’identità quando arriverò al creatore, tanto mi
avrà stropicciato lo svedese. Invece si fruga nelle tasche dei calzoni e tira
fuori un tappo di sughero, una matassina di canapa e un bottone di madreperla.
C’ho solo più questo da giocarmi. No ragazzo, tira su la manica sinistra della
camicia, che quel gingillo forse non ti serve. No! Lo guardo come si guarda il
pollo prima di tirargli il collo, hai presente come si fa zingaro? Li mangiate
voi i polli no? Lo fissi e cerchi di non fargli capire che lo stai mandando all’altro
mondo, sennò quello fa un chiasso di penne e piume da farti passare la voglia
di mangiartelo arrosto”.
Lo
zingaro, annuisce, e gli offre una sigaretta più corta e spessa, che aveva
preparato nel frattempo.
Zorba
l’accetta, se l’accende e riprende.
“Dunque,
lo svedese si sfila l’orologio, lo mette sul tavolo, si risiede e grida spela! Io la capisco la sua lingua
di uccellacci di mare e aringhe. Giochiamo allora ragazzo! Una mano sola, e l’orologio
eccolo qua!” e se lo rimira al polso.
“Quello
se ne va via così leggero, che non pensava più all’appuntamento che lo
tormentava. Certo all’inizio era un po’ triste, ma lo vedevo allontanarsi a
poco a poco, senza fretta, libero da quest’orologio che lo incatenava con il
suo tic-tac infernale. Ora può fare quello che vuole. Io l’ho liberato” e
aspira una bella boccata di fumo.
Lo
zingaro sorride e gli dice “Magari aveva un appuntamento importante?”
“Cos’è
un appuntamento importante, zingaro? Niente ti può far diventare uno schiavo
del tempo, non esistono appuntamenti importanti!”
“Un
lavoro?”
“Bah!”
“Un
funerale?”
“Tanto
il morto non ti sgrida se arrivi in ritardo”.
“Una
donna!”
“Se
era una donna dici? Non credo che si sarebbe messo a giocare a carte… Fammi un’altra
delle tue sigarette zingaro, che me la conservo”.
Zorba,
mentre lo zingaro si mette a preparargli una sigaretta, rimira l’orologio e
ricomincia.
“No
dico, ma ti rendi conto? Gli devi dare la carica tutte le mattine!”
“Meglio
no?” fa lo zingaro.
“Come
meglio?”
“Così,
se un giorno ti stufi, puoi smettere di dargli la carica così lui si ferma, e
sei di nuovo libero anche tu…”
Zorba
lo guarda perplesso, poi fa un bell’anello di fumo e la bocca gli si stende in
un sorriso.
“Hai
ragione! Mi piacciono questi orologi!” E gli rifila una sonora pacca sulla
spalla.
“sai
che ti dico zingaro? Alla fine però, che io gli dia la carica o meno, questo
cercherà sempre di fregarmi. Te lo regalo, a me non serve”.
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