lunedì 25 febbraio 2013

domenica 3 febbraio 2013

SUGLI OROLOGI MECCANICI E LE BUSSOLE II




Istanbul, mercato di Kadikoy 22 dicembre 1901.
Un fiume di gente scorre nella trincea delle bancarelle. Un via vai apparentemente caotico, ma che se lo si vede dall’alto, apparirebbe come una pulsazione sanguigna che irriga tutto.  A differenza degli altri quartieri, a Kadikoy l’Asia è visibile, si sente ancora di più nelle pozzanghere sotto i banchi del pesce, nelle piramidi di pepe, nelle teste di agnello bollite ed esposte su piani di marmo insanguinato. Ma quella fiumana di ebrei, greci, armeni, albanesi, bulgari, persiani, italiani, tedeschi e francesi ha portato con sé secchi di denaro che vanno a finire in mattoni, cemento e luminose vetrate che vogliono imitare quella spigliatezza parigina, sposandosi con il languore levantino. Ma tutto è ancora solo brusio di un cantiere lontano, il mercato fa abbastanza rumore da non accorgersene ancora.
Un polacco con la divisa da sottufficiale inglese, portata con la sicurezza di un ammiraglio, cammina contro corrente, ogni tanto si ferma a far finta di  guardare le mercanzie esposte. In qualsiasi altro luogo la sua figura sarebbe apparsa per quello che sembra. Ma al mercato di Kadikoy, un bottone scucito, una macchia di rhum sul bavero e il berretto sprimacciato sono messaggi facili da leggere. Dietro di lui, zigzagando come una covata di pulcini appresso alla chioccia, lo tengono d’occhio una ciurmaglia addobbata di stracci turchi e brandelli di marsine europee. Lui è la preda. Ha addosso il suo fallimento di una notte a backgammon con un armeno che ha bevuto solo tè verde, mentre lui, con la sua spocchia anglosassone è andato avanti a forza di bicchierini, fino a ritrovarsi senza una sola moneta. Ora è in cerca di qualche cosa, ma non sa bene che cosa e quindi prova a sbatterci contro. Stanco, con le suole ormai smussate dal porfido, trova dei tavolini e qualche sedia di ferro battuto. Ci si siede sperando che nessuno venga fuori a chiedergli cosa vuole bere. I pulcini gli fanno cerchio, ma ben nascosti tra la folla, aspettano. Dal caffè esce, invece del barista, un tipetto segaligno, con un paio di baffi inaugurati da poco. Sui venti anni, indossa un tabarro blu, dei pantaloni di fustagno con le toppe alle ginocchia, scarponi da minatore che scricchiolano sul selciato. In testa, un berretto della marina russa, cattura qualche ciocca di capelli neri e lucenti come ossidiana.
Il ragazzo si siede accanto al polacco, lo squadra, si fa subito un’idea della situazione e incrocia subito con lo sguardo i pulcini. Parte una lotta muta, fatta di occhiate, brevi, fulminanti, e il giovane ne è il vincitore, perché la ciurmaglia si dissolve trascinata dalla folla.
“Sir, abbiamo passato una bella nottata!”
Il polacco alza lo sguardo e fissa il giovane che gli ha parlato in un inglese del South Yorkshire sporco di “s” egee , ma senza espressione. 
“Se hai bisogno di denaro, stai parlando con la persona sbagliata”
“Sir, per chi mi prendi?”
Il giovane chiama qualcuno da dentro e gli portano due bicchierini di rhum e un piatto di dolci alle rose. Il polacco non si muove mentre il giovane gli porge il suo in attesa di un brindisi.
“Non dovresti essere arrabbiato con tutti Sir, io non so cosa ti hanno fatto, ma io non c’entro. Bevi avanti. Non voglio nulla da te. Voglio solo brindare con qualcuno, che domani parto, me ne vado, verso l’America. Sai, io con il mare non è che ci vada tanto d’accordo… anzi, mi fa proprio paura. Però mi dicono che in America anche le vacche cagano dollari… scusa l’espressione”  e gli da’ un buffetto sulla spalla. Il polacco sorride e guarda il bicchiere pieno. Allora il giovane, incoraggiato da quel sorriso, continua.
“Insomma, ho visto un marinaio vero, che il mare lo acchiappa sotto le ascelle e mi dico, Alexis, offri un bicchiere a quest’uomo, che ti porta fortuna di sicuro!” E questa volta gli rifila una sonora pacca sulla spalla.
Il polacco, lo guarda severo, quasi adirato, il giovane si pente di essersi preso tanta confidenza e rimane fermo con il bicchiere a mezz’aria. Ma tra gli occhi celesti del mare del nord e quelli blu dell’Egeo si apre un passaggio largo come quello del Bosforo e ci entra un sorriso. Il polacco afferra il bicchiere e lo fa brillare con il suo compagno.
“Prosit!”
“Jamas!”
E i due attaccano a parlare con arretrati ventennali.
Il sole cala, ed entra nei vicoli del mercato, le pozzanghere di sudiciume brillano d’oro. Kadikoy cambia scene e attori.
Il polacco cerca l’orologio da taschino, ma si è ricordato che l’ha perso al gioco, allora chiede al giovane che ora è, ma neanche Alexis ha un orologio.
“Non mi piacciono”
Ferma un francese con una cassa piena di stoffe sulla schiena e gli chiede che ora è. Posa la cassa tira fuori l’orologio dal taschino che il polacco è convinto di riconoscere ma lascia perdere, sarebbe troppo lungo da spiegare. Si è fatto tardi per qualche cosa che non sa bene neanche lui. Alexis non ha voglia di andarsene, tra poche ore partirà il suo cargo e tutta quella dolcezza si dissolverà. Magari dandosi il cambio con il mal di mare.
“Sir, sono stato bene. Parlare con te mi ha messo coraggio, ora se devo galleggiare lo faccio con più decenza, grazie alle tue parole”.
Il polacco tira fuori dalla tasca interna della giacca una scatolina di legno decorata con bordi d’oro. La mette sul tavolo di marmo e fa cenno ad Alexis di prenderla.
“Cos’è?”
“Guarda da te. E’ tua”.
Il ragazzo la prende con delicatezza e fa scattare il piccolo uncino che la tiene chiusa. Dentro c’è una bussola con la sua lancetta che ondeggia.
“Mi è rimasto solo questo, ma volevo regalarti qualche cosa. In mare ti servirà. Sai come funziona? Segna sempre il nord”
“Perché?” Il polacco rimane stupito da quella domanda.
“Perché la lancetta è attratta dal campo magnetico…” ma si ferma, in un altro momento, in un altro luogo, quel tipo di risposta sarebbe stata logica, ma sentiva che gli occhi blu di quel ragazzo non potevano accontentarsi di una risposta del genere.
“Non lo so perché, ma tienila per ricordo” si alza, gli porge le mano, “Buon viaggio ragazzo, buona fortuna” beve l’ultimo sorso dell’ultimo rhum “Come ti chiami ragazzo?”
Alexis si alza anche lui, si toglie il cappello, si passa la mano sul cappotto e afferra vigorosamente quella del polacco “Alexis Zorba, sir”
“E’ stato un piacere Alexis, io mi chiamo Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski
“Ma non sei inglese?”
“Non completamente!”
L’inglese polacco se ne va e Zorba rimane seduto a guardarlo scomparire. Poi osserva la bussola. La lancetta oscilla e si ferma a nord. La fissa, la agita un po’, come per sentirne gli invisibili ingranaggi all’interno. La riposa sul tavolo e la lancetta ritorna a nord.
“Io non ci casco”
Se la infila in tasca e se ne va.